Fluido refrigerante

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Fluido Refrigerante per Pompe di Calore: Tutte Le Informazioni

Il fluido refrigerante per pompe di calore è un elemento chiave nel ciclo termodinamico. Questo fondamentale fluido consente un trasferimento efficiente di calore da una sorgente a bassa temperatura a una più elevata. Questi fluidi sono progettati per operare in cicli chiusi, passando attraverso fasi di compressione, condensazione, espansione e evaporazione. La scelta del fluido refrigerante influisce sulla performance, sull’efficienza energetica e sull’impatto ambientale del sistema di pompa di calore.


Che cos’è un Fluido Refrigerante per pompa di calore?

Il fluido refrigerante è forse il "componente" più delicato di un impianto a pompa di calore. I fluidi refrigeranti, infatti, possono avere effetti nocivi sulla salute delle persone e sull’ambiente.

Quanto, invece, all’impatto sull’ambiente, le caratteristiche da considerare sono, per uno specifico fluido:

  • l’attitudine a contribuire al danneggiamento dello strato di ozono nell’atmosfera;
  • l’attitudine a contribuire al riscaldamento globale dell’ambiente.
La prima, l’attitudine a danneggiare lo strato di ozono, è misurata da un indice numerico denominato ODP ("Ozone Depletion Potential", o potenziale di danneggiamento dell’ozono).
La seconda, l’attitudine a favorire il riscaldamento globale, è espressa invece da un altro valore numerico, indicato come GWP ("Global Warming Potential", o potenziale di riscaldamento globale).

Entrambi gli indici sono riferiti a una massa unitaria (di solito, 1 kg) di un particolare refrigerante. È infatti evidente che la capacità di danneggiare l’ambiente (nei due modi cui abbiamo accennato) varia da fluido a fluido e va comunque aumentando al crescere della quantità ("carica") di fluido refrigerante presente nell’impianto.

A questo proposito, è bene avvertire sin d’ora che ciò che interessa non è il possibile impatto ambientale del solo fluido frigorigeno, ma, come è ovvio, quello dell’impianto nel suo complesso.

Esso dipende, oltre che dal fluido e dalla sua carica, anche dal tipo di impianto, dalla sua tenuta, dalle modalità di esercizio adottate. Per limitare tale impatto non è indispensabile scegliere fluidi con bassi valori di ODP e GWP: si può, in alternativa, progettare l’impianto in modo da rendere minima la quantità di fluido necessaria. Tale seconda soluzione, anzi, si rivela sovente la più indicata, anche sotto il profilo dell’efficienza energetica.
Queste considerazioni hanno portato a concludere che gli indici ODP e GWP non sono sufficienti per ottimizzare una pompa di calore dal punto di vista dell’impatto ambientale: essi, infatti, tengono conto esclusivamente delle caratteristiche del fluido frigorigeno, e non di quelle, più generali, dell’impianto in cui quel fluido opera.

Si reso dunque necessario introdurre un terzo indice, denominato TEWI (Total Equivalent Warming Impact). A differenza dei due già descritti (che si riferiscono, come si è visto, a un dato fluido frigorigeno), il TEWI va calcolato per ogni specifico impianto, e ne riassume tutte le caratteristiche rilevanti quanto all’impatto ambientale.

Tra queste, ovviamente, il tipo di fluido (il TEWI dipende infatti, tra l’altro, dall’ODP e dal GWP), ma anche la quantità ("carica") del fluido stesso, la sua percentuale di riciclaggio prevista e la quantità di anidride carbonica che verrà emessa nell’atmosfera durante l’intera vita dell’impianto, per consentirne il funzionamento.

Il TEWI, dunque, tiene conto di entrambi i modi con i quali una pompa di calore, durante la sua intera vita utile, può contribuire al riscaldamento globale.

Precisamente:

  • contributo diretto, causato dall’emissione di fluido refrigerante nell’ambiente (perdite dovute all’imperfetta tenuta degli impianti, a guasti ecc.);
  • contributo indiretto, legato alle inevitabili emissioni di anidride carbonica che accompagnano la produzione dell’energia elettrica necessaria per far funzionare la pompa di calore.
Si comprende dunque l’utilità del TEWI per chi intenda progettare una pompa di calore con limitato impatto ambientale: esso lascia infatti al progettista la libertà di intervenire in modo diverso, secondo le opportunità, sui vari termini che lo compongono, con la sola condizione che il valore globale sia inferiore a una soglia fissata.

Se vuoi sapere come funziona una pompa di calore leggi il nostro articolo dedicato!


Fluido Frigorigeno: Clorofluorocarburi (CFC)

I clorofluorocarburi (CFC) sono composti organici ai quali sono stati aggiunti atomi di cloro e di fluoro. In passato, erano i fluidi refrigeranti più impiegati nelle pompe di calore.

A causa del loro contenuto di cloro e della loro stabilità chimica (che li rende praticamente indistruttibili), i CFC sono dannosi per l’ambiente. Hanno, infatti, sia un elevato ODP che un elevato GWP. Per tale motivo, questi liquidi refrigeranti non vengono più prodotti, né utilizzati in impianti di nuova costruzione. Il loro impiego è limitato a impianti già esistenti e l’unica fonte di approvvigionamento è il recupero da impianti dismessi.

È probabile quindi che il loro costo sia destinato ad aumentare progressivamente, fino alla loro totale scomparsa: comprende: F12, R-11, R-12, R-13, R-113, R-114, R-115, R-500, R-502, R-13B1.

Fluido frigorigeno: Idroclorofluorocarburi (HCFC)

Anche gli HCFC (Idroclorofluorocarburi) contengono cloro, ma hanno un ODP molto più basso (dell’ordine di alcuni per cento) di quello dei CFC, grazie alla loro minore stabilità chimica nell’atmosfera. Molto minore rispetto ai CFC è anche il GWP.

Gli HCFC sono i cosiddetti fluidi refrigeranti di transizione, destinati ai soli interventi di ristrutturazione.
Comprendono: R-22 (impiegato soprattutto nelle pompe di calore geotermiche), R-401, R-402, R-403, R-408 e R-409.

Con il Protocollo di Montreal (e con le relative modifiche e integrazioni) è stato concordato un programma di messa al bando dei CFC e degli HCFC. Secondo tale programma, gli HCFC saranno banditi dai Paesi industrializzati entro il 2020 e eliminati completamente entro il 2040.


Fluidi frigorigeni: Idrofluorocarburi (HFC)

Gli HFC (idrofluorocarburi) possono essere considerati fluidi refrigeranti alternativi di lungo termine ai CFC e agli HCFC. Sono infatti privi di cloro e non contribuiscono al danneggiamento dell’ozono (contribuiscono invece al riscaldamento globale).

In questa famiglia rientrano R-134a, R-152a, R-32, R-125 e R-507.

Alcuni HFC possono sostituire ottimamente, senza riduzioni importanti sul COP, refrigeranti di altro tipo, ormai banditi. A causa della sua infiammabilità, il fluido refrigerante indicato con HFC-152ª può essere impiegato allo stato puro soltanto in impianti di piccole dimensioni, con bassa carica di fluido; è stato infatti usato con successo nelle pompe di calore domestiche.

Oggi è diffuso soprattutto come componente nelle miscele, come ad esempio la R-500. HFC-32 è moderatamente infiammabile e ha un GWP prossimo a zero. È considerato un buon sostituto a lungo termine di HCFC-22. A causa della sua infiammabilità, HFC-32 è di solito impiegato come componente principale in miscele.

HFC-125 e HFC-143a hanno proprietà piuttosto simili a R-502 e HCFC-22. Sono diffusi soprattutto come componenti di miscele. Hanno però dei GWP piuttosto elevati.

Fluido refrigerante: le miscele

Le miscele rappresentano una possibilità interessante per la sostituzione dei CFC, sia per i rifacimenti che per le nuove costruzioni. Una miscela consiste di due o più fluidi refrigeranti di lavoro puri, e può essere zeotropica, azeotropica o quasi-azeo-tropica. Le miscele azeotropiche evaporano e condensano a una temperatura fissa; le altre in un certo intervallo di temperatura ("temperature glide").

Il glide può essere utilizzato per migliorare le prestazioni, se l’impianto dispone del necessario equipaggiamento. Il vantaggio delle miscele è che possono essere fatte a richiesta di chi le utilizzerà, così da rispondere a esigenze particolari. Le prime miscele per la sostituzione dei CFC contenevano tutte degli HCFC e sono quindi considerate oggi fluidi di transizione o di medio termine.

Sono ormai disponibili, o lo saranno a breve, miscele prive di cloro, composte principalmente di HFC (HFC-32, HFC-125, HFC-134a, HFC143a) e idrocarburi (es., propano).
Due dei più promettenti fluidi di lavoro che appaiono in grado di sostituire, nel medio o lungo termine, l’R-22 nelle pompe di calore sono le miscele R-410°. Entrambe sono prive di cloro, sono innocue per lo strato di ozono, sono prive di infiammabilità e di tossicità, possono però contribuire al riscaldamento globale.
La differenza principale tra le due è la composizione chimica: R-410A è una miscela di R-32 e R-125 con un glide modesto, mentre R-407C consiste di R-32, R-125 e R-134A e ha un glide piuttosto ampio.

R-407C è l’unico refrigerante disponibile per uso immediato negli impianti che utilizzano R-22. Le proprietà termiche e le condizioni operative sono prossime a quelle dell’R-22.

Tuttavia, a causa del suo glide R-407C può essere usato solo in alcuni sistemi. L’uso di questo fluido refrigerante si va diffondendo, anche se sussistono ancora alcune difficoltà di fabbricazione. Alcune ricerche indicherebbero che l’R-410A consente di raggiungere COP più elevati rispetto all’R-22.

È già dimostrato, invece, che l’R-410A consente risparmi sul costo complessivo dell’impianto; infatti, grazie alla sua elevata capacità di scambiare calore, permette di utilizzare componenti (in particolare, il compressore) di dimensioni contenute. Lo svantaggio principale rispetto all’R-22 è la maggiore pressione di funzionamento, che impone, prima di procedere alla sostituzione, di verificare che tutti i componenti dell’impianto siano in grado di sopportarla. L’R-410A è assai diffuso, soprattutto negli Stati Uniti e in Giappone, per le pompe di calore in esecuzione monoblocco.

Fluidi frigorigeni naturali

Alcune sostanze presenti naturalmente nell’ambiente possono essere impiegate come fluido frigorigeno. Generalmente, tali fluidi non presentano inconvenienti significativi quanto all’impatto ambientale globale (hanno spesso ODP e GWP prossimi a zero).

Costituiscono quindi una interessante alternativa di lungo termine ai CFC. Alcuni fluidi naturali, tuttavia, sono infiammabili o tossici. Esempi di fluidi frigorigeni da lavoro naturali sono l’ammoniaca (R-717), il propano (R290), il propene (R127), l’anidride carbonica (R-744), l’aria e l’acqua (R-718).

Sotto l’aspetto tecnico ed economico, l’ammoniaca è un’ottima alternativa ai CFC (e ad alcuni HCFC), almeno per gli impianti di nuova costruzione. Ha però alcuni inconvenienti da considerare con attenzione: è irritante per le vie respiratorie e, se mescolata ad acqua, può divenire esplosiva. Per queste ragioni, è impiegata soprattutto nei grandi impianti: per le piccole pompe di calore domestiche, il suo impiego è in genere limitato ai casi in cui è possibile installare la pompa all’esterno dell’abitazione.

In questi casi (impianti di piccole dimensioni), si rivela spesso opportuno, ai fini della sicurezza, limitare la carica di fluido, oppure ricorrere a impianti indiretti, a locali (o involucri) impermeabili al gas, o, infine, a sistemi di ventilazione a prova di guasto. Va tenuto presente che l’ammoniaca non è compatibile con il rame, e che quindi i componenti dell’impianto devono essere realizzati in acciaio.

Tornando ai grandi impianti, un limite all’impiego dell’ammoniaca, come fluido refrigerante, deriva dal fatto che non sono ancora disponibili compressori in grado di sviluppare pressioni elevate. Poiché una pressione modesta si accompagna a una temperatura di condensazione pure modesta, l’ammoniaca non può impiegarsi ove sia richiesta una elevata temperatura del fluido.

Gli idrocarburi (HC) sono fluidi di lavoro infiammabili. Hanno favorevoli proprietà termodinamiche e sono ben compatibili con i materiali.
Attualmente, propano, propilene e miscele di propano, butano, iso-butano ed etano sono considerati i fluidi di lavoro più promettenti nei sistemi a pompa di calore. Gli HC sono ampiamente usati nelle pompe di calore residenziali, specialmente in Europa. A causa dell’elevata infiammabilità, gli idrocarburi sono indicati solo per l’impiego in sistemi con bassa carica di fluido di lavoro.

Per assicurare la sicurezza durante l’esercizio e il servizio, è bene adottare precauzioni quali una ubicazione opportuna e/o inscatolatura della pompa di calore, sistemi di ventilazione fail-safe, aggiunta di gas tracciatore, uso di rilevatori di gas ecc.

L’acqua possiede alcune caratteristiche che ne fanno un ottimo fluido frigorigeno; ha infatti favorevoli proprietà termodinamiche e non è infiammabile né tossica. Evapora però a temperature ben più elevate rispetto ad altri fluidi refrigeranti, e naturalmente non può scendere al di sotto di 0 °C. Il suo impiego come fluido refrigerante è quindi limitato a quelle applicazioni (non rare nell’industria) dove è richiesta una elevata temperatura del fluido. Inoltre, la sua bassa capacità di accumulare calore rende necessario il ricorso a compressori grandi e costosi, in grado di elaborare le ingenti portate necessarie.
Attenzione crescente stanno suscitando le sperimentazioni riguardanti l’impiego come refrigerante dell’anidride carbonica. Essa infatti non è tossica né infiammabile, ed è compatibile con i materiali e i lubrificanti più comuni; possiede inoltre una elevata capacità di refrigerazione per unità di volume. Tuttavia, non consente se non valori di COP piuttosto bassi.

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Fonte: “Geotermia e pompe di calore – L’ambiente come fonte di energia sostenibile” di Giuseppe Dell’Olio.